Elenco qui alcune ulteriori direzioni su cui lavorare. L'elenco ha puro carattere esemplificativo e non vuol essere vincolante. Ciascuna può scegliere di approfondire un tema di propria scelta, purché l'approccio sia critico e non meramente compilativo.
L'elenco è suddiviso in base alle competenze, ma anche questa indicazione non è vincolante.
-Per chi conosce il sanscrito:
1. confrontare la definizione di parlante esperto (āpta) del Nyāya con quella che si trova nel commento di Gauḍapāda alle SK. Il commento è stato tradotto da Corrado Pensa nel suo volumetto "Samkhyakarika di Isvarakrsna" (1a della bibliografia), ma bisognerebbe consultare il sanscrito per vedere cosa se ne può trarre circa la (sfuggente) teoria sāṅkhya della Parola come strumento conoscitivo.
-Per chi conosce l'inglese e/o il sanscrito:
2. analizzare la nozione di Parola indipendente dal suo autore (śāstra) nel Vedānta di Śaṅkara e Rāmānuja. Un punto di partenza potrebbe essere costituito dall'articolo di Sharma (n. 15 della bibliografia). Questo è stimolante, ma non sono certa di Sharma come autore esperto e affidabile. Varrebbe perciò la pena di verificare il suo ragionamento sulle fonti sanscrite (che indica, ma non cita) e di filosofi indiani contemporanei (in inglese, che cita).
-Per chi vuole lavorare sull'India, ma mediante l'italiano:
3. Controllare nella splendida traduzione di Raniero Gnoli di due capolavori dello Scivaismo monista kashmiro, il Tantrāloka (trad. it in Adelphi con il titolo "Luce delle Sacre Scritture", ristampato come "Luce dei Tantra") e il Tantrasāra (tr. it in BUR) di Abhinavagupta, il ruolo della parola come strumento conoscitivo. Si vedano in particolare i capitoli XXXV e XXXVII e l'indice dei nomi nel Tantrāloka (anche sotto "prasiddhi"). Sarebbe interessante notare quali elementi derivino dal Nyāya, quali dalla Mīmāṃsā e quali siano originali.
-Senza limiti di competenze:
4. Come potrebbe rispondere un esponente della scuola epistemologica buddhista all'argomento mīmāṃsaka sul fatto che non è possibile che il Buddha sia un parlante esperto e affidabile, dato che non può esserci in lui desiderio di comunicare? (Si pensi al problema della compassione e del suo accrescersi, alla semantica di "desiderio" come l'abbiamo osservata in varie scuole, al tema mīmāṃsaka dell'impossibilità di ciò che esce dalla norma).
5. È ipotizzabile un'applicazione pratica, magari politica, delle tesi qui esposte? Che portato avrebbero in ambiti quali il dialogo fra religioni e culture diverse e fra scienza e fede? E in ambito giuridico? (Si pensi al problema dell'attendibilità del teste, delle fonti del diritto, del rapporto fra Costituzione e leggi ordinarie, alle teocrazie...).
-Per chi volesse cimentarsi con temi di filosofia occidentale, alcuni suggerimenti sono elencati nel cap. 9 "applicazioni occidentali" (Hume e la Parola come strumento conoscitivo; la filosofia moderna in Occidente e il suo complesso rapporto con Dio come garanzia dell'autonomia del sapere...). Inoltre,
6. Dai testi di Bochenski (si vedano sopra i nn. 23, 24, 25 della bibliografia, io ho tratto la distinzione fra autorità epistemica e deontica. È riuscito il suo tentativo di mostrare una logica dell'autorità a prescindere dalle differenze fra India ed Europa? O il caso indiano ha delle specificità irriducibili? Se sì, quali?
domenica 8 aprile 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento