martedì 1 maggio 2007

11.1 Arindam Chakrabarti difende l'autonomia della testimonianza

Chakrabarti basa la sua argomentazione su una premessa che abbiamo visto sviluppata anche in ambito indiano, ossia l'impossibilità di separare la mera comprensione di una frase (quella che nel capitolo 7 abbiamo definito "comprensione senza accettazione") dal considerarne vero il contenuto. Se ciò fosse possibile, sarebbe lecito dire che la testimonianza è in realtà un caso di inferenza. Si potrebbe infatti inferire da una frase udita (ma non ancora accettata come vera) il contenuto mentale corrispondente nella mente del parlante e da tale contenuto, se il parlante è affidabile, la presenza di un referente esterno. Invece, continua Chakrabarti, nei casi normali noi comprendiamo direttamente il contenuto di una frase, senza passare dal passaggio intermedio di una comprensione senza accettazione. Quando questa si verifica, per esempio nel caso di barzellette o di parlanti notoriamente inaffidabili, essa si configura come un'eccezione alla regola.
Ricordo che la posizione di Chakrabarti esclude volutamente tutti i casi di testimonianza divina o riguardante ambiti non verificabili dall'uomo. Come già il Nyāya, quindi, anche Chakrabarti non può prescindere da un autore affidabile. Tuttavia, sostiene che dire "conosco che x perché me lo ha detto il signor Y, il quale è un parlate affidabile" non si configuri come inferenza. Esso è semplicemente un modo di render ragione della propria credenza e se ciò bastasse a definire un'inferenza anche le nostre conoscenze percettive diverrebbero tali (dato che anche nel caso della percezione possiamo spiegare i motivi che ci spingono a credere che, per esempio, vediamo davanti ai nostri occhi un foglio bianco). Quest'ultimo passaggio evidenzia infatti come dire "lo so perché me lo ha detto il signor Y" non giustifichi la mia conoscenza che x, la quale è stata ottenuta direttamente dalla frase di Y, bensì la mia consapevolezza di conoscere che x. Con un esempio, Irene mi dice di essere nata a Palermo e io conosco immediatamente che Irene è nata a Palermo. Se mi si chiede come faccio a saperlo rispondo "perché me lo ha detto Irene, la quale per quanto riguarda se stessa è senz'altro una parlante affidabile". Questo non è la premessa da cui ho inferito che Irene sia nata a Palermo (conoscenza di primo grado). Tutt'al più può essere la premessa per cui ho inferito di conoscere che Irene è nata a Palermo (conoscenza di secondo grado).
Questa è la tesi generale. Espongo ora alcuni dettagli. Chakrabarti dedica un breve spazio alla confutazione di chi potrebbe voler ricondurre la testimonianza alla percezione diretta o alla memoria. Contro la prima tesi, nota che se la testimonianza fosse un caso di percezione sensibile, farebbe parte del contenuto della testimonianza tutto quello che udiamo (il tono della voce, l'accento di chi parla etc.) e non solo, per esempio, il fatto che Irene sia nata a Palermo. Inoltre, il contenuto della testimonianza è fissato una volta per tutte dal modo in cui è stato espresso dal parlante. Quello della percezione sensibile, invece, può essere rielaborato. Se ho visto un gatto poggiato su un tappeto, posso per esempio descrivere la mia esperienza anche come "ho visto un tappeto sotto il gatto" o in altri modi ancora. Contro l'idea che la testimonianza sia un caso di memoria, Chakrabarti si limita a notare che possiamo conoscere tramite testimonianza cose che non abbiamo già esperito.
Ma veniamo al cuore della disputa Chakrabarti/Fricker, ossia la riduzione della testimonianza all'inferenza.
Chakrabarti considera prima il caso base:
1) Il parlante P è affidabile,
2) P ha detto che f,
3) f è vera.
Tale riduzione all'inferenza non è sostenibile, perché non tiene conto di conoscenze ottenute tramite parlanti inaffidabili (per esempio i rapporti di una spia, ma anche il caso di un mentitore abituale che non sappia di star dicendo la verità). Più radicale è poi il problema determinato dal fatto di come sia possibile stabilire l'attendibilità del parlante. Si ricorderà che secondo il Nyāya l'attendibilità del teste è data da tre criteri, il desiderio di comunicare, la sincerità e la competenza. Il primo criterio non è preso in considerazione da Chakrabarti, che si rivolge a uomini normali e che quindi possono essere presupposti (al contrario di eremiti etc.) come desiderosi di comunicare. La sincerità non è definita da Chakrabarti, ma mi pare sia considerata come la corrispondenza fra ciò che il parlante pensa e ciò che dice. Ora, ogni prova della sincerità del parlante nel passato è quindi necessariamente linguistica e non può essere acquisita dall'esterno. La competenza viene invece intesa come la corrispondenza fra i contenuti mentali del parlate e i dati di fatto esterni. Ma anche in questo caso, per poter giudicare dei contenuti mentali del parlante abbiamo solo le sue parole. Per cui, nel caso di parlanti usualmente mentitori o incompetenti, non saremmo mai in grado di stabilire con certezza né il primo né il secondo tipo di corrispondenza.
Chakrabarti passa perciò a considerare una versione minore del primo tentativo di riduzione. È l'argomento circostanziato, elaborato da Elizabeth Fricker (per cui si vedano i capp. 11 e 11.2):
I) Il parlante P ha detto che f nel momento t,
II) nel momento t il parlante P era sincero e competente riguardo f,
III) f è vera.
Si noti che tale argomento non può essere accusato di circolarità, perché la conclusione non è contenuta già in una delle sue premesse, bensì solo nelle premesse messe insieme. Si potrebbe chiamare anche questo un caso di circolarità, ma allora si dovrebbe concludere che tutti i ragionamenti deduttivi sono circolari.
Più problematico, sempre secondo Chakrabarti, è stabilire se sia effettivamente possibile stabilire I) senza aver stabilito III). Inoltre, tramite testimonianza io vengo a conoscere qualcosa di più e qualcosa di meno rispetto a quanto conoscerei tramite l'inferenza I/II/III. Di più perché quando Irene mi dice di essere nata a Palermo io non conosco solo che Irene, la quale è sincera e competente, pensa di essere nata a Palermo. Io conosco che Irene è nata a Palermo. Di meno, perché della testimonianza non fanno parte tutti i contenuti accessori che farebbero parte dell'inferenza I/II/III, ossia il fatto che Irene sia convinta della propria sicilianità, il fatto che voglia parlarmi apertamente delle sue origini, il fatto che sappia parlare in italiano etc.

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