mercoledì 2 maggio 2007

11.4 Confronto schematico fra Chakrabarti e Fricker

Riassumendo, sia Chakrabarti che Fricker condividono l'approccio di fondo, ossia:
a) è possibile ottenere conoscenza tramite testimonianza,
b) la testimonianza deve essere necessariamente di autore umano e legata ad ambiti verificabili,
c) l'orizzonte di riferimento in base al quale giudicare è il gioco linguistico del linguaggio sociale come enunciato da Wittgenstein.

Arindam Chakrabarti propone tre argomenti (in massima parte rielaborati a partire dalla tradizione indiana) in favore dell'autonomia della testimonianza come strumento conoscitivo:
1) La testimonianza non può essere ridotta a inferenza,
-perché la verifica dell'attendibilità del teste porta a circolarità,
-perché non è possibile costruire coerentemente l'inferenza.
2) La comprensione senza accettazione è solo un caso eccezionale, chi la applicasse sempre non avrebbe capito il gioco linguistico in cui si trova.
3) La conoscenza ottenuta tramite testimonianza differisce da quella ottenuta inferenzialmente:
-è diretta,
–non include il fatto che il parlante sappia l'italiano etc. (questo argomento è l'unico che mi pare assente in India),
–non si limita a "so che Y sa che x", bensì giunge a "x".
Quest'ultimo punto è l'unico non demolito (vedremo con quale successo) da E. Fricker, esso appare convincente, specie nella sua complessità. Le singole articolazioni, però, sono opinabili (non è detto che tutti condivideremmo l'impressione che la conoscenza ottenuta tramite testimonianza sia diretta) o possono apparire sofistiche (come l'ultimo argomento).

Elizabeth Fricker si oppone a Chakrabarti come segue:
1) La testimonianza non può essere ricondotta a un'inferenza generale, ma solo perché essa non è un tipo a sé di inferenza. Si tratta invece di ricondurre a inferenza i singoli casi di testimonianza, e questo è possibile. Bisogna perciò localizzare il problema e riformulare l'inferenza in tale chiave. Ciò implica la rinuncia a tentare di fondare l'intero edificio della nostra conoscenza prescindendo dalla testimonianza.
2) Non credere a una testimonianza finché non sia stata verificata l'attendibilità del teste è una nostra precisa responsabilità epistemica. Chi semplicemente non prende in considerazione il problema (forse come i mīmāṃsaka nei confronti del Veda?) non ha capito il gioco linguistico e quindi non può nemmeno essere detto "conoscere" qualcosa.
Se la localizzazione del problema, con la conseguente rinuncia al fondazionalismo, sembra rendere le pretese di Fricker molto moderate, il punto 2) porta invece a conseguenze radicali.
La versione offerta da Fricker coglie in effetti alcuni punti scoperti dell'argomentazione di Chakrabarti (la cui difesa dell'autonomia della testimonianza, largamente coincidente con quella offerta dal Nyāya, non è l'unica possibile), in particolare circa l'attendibilità del teste. Se veramente essa è necessaria anche per il Nyāya, perché non dire che deve essere preliminarmente accertata?

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