Parleremo del ruolo della Parola nella filosofia indiana all'interno di una cornice epistemologica, perché tale è l'approccio indiano al problema. Infatti (chiedo scusa anticipatamente per le semplificazioni brutali) in Occidente il percorso in direzione della conquista di una conoscenza veramente certa ha fatto sì che si purificasse la conoscenza da opinioni infondate, credenze, pregiudizi etc.. Spesso questo porta a concludere che dell'intero deposito delle conoscenze comuni e degli esperti,ben poco possa esser salvato e sia necessaria una radicale rifondazione.
Al contrario, in India l'epistemologia non perde la propria base dichiaratamente empirica,da senso comune. L'indagine epistemologica,specie delle scuole che si rifanno al Veda (vedremo come le scuole buddhiste siano più estremiste), si confronta continuamente con esempi e controesempi tratti dalla comunicazione e dall'esperienza ordinaria. Suo scopo principale è spiegare i meccanismi tramite i quali di fatto noi acquisiamo conoscenza. Si mira perciò a giustificare il nostro
patrimonio di conoscenza più che a gettarlo a mare e ricostituirlo su basi più salde.
Allo stesso tempo, l'ambito dell'epistemologia si allarga anche sul versante opposto, ossia a tutti i contenuti conoscitivi che non si configurano come dati di fatto. L'epistemogia in India si applica per esempio all'ambito dei valori (intesi come diversi dai "fatti"; un esempio di valore è il concetto di bello, non a caso considerato al di fuori dell'ambito della conoscenza certa in Occidente). Anzi, in genere, le principali scuole filosofiche (si pensi all'esordio del Nyaya-sutra) presentano l'indagine sui fatti come premessa per un'indagine valoriale consapevole. Si dice percio' nel Nyaya-sutra che bisogna conoscere rettamente un oggetto per poi poter decidere se esso vada perseguito o evitato.
L'epistemologia si applica inoltre al discorso non descrittivo bensì prescrittivo. Questo si differenzia dal primo perche' ingiunge un'azione invece di descrivere un fatto. Si pensi per esempio a "La mucca e' legata" e "Lega la mucca!". Nel primo caso possiamo facilmente verificare se la proposizione sia vera o falsa. Nel secondo, invece, la questione e' piu' complessa. Alcuni filosofi hanno proposto che anche a questo tipo di proposizioni siano applicabili i criteri di vero e falso (cosi' Stig Kanger, che propone di interpretare vero e falso in ambito prescrittivo avendo come punto di riferimento il "regno dei fini" kantiano), ma intuitivamente ci si rende ben conto che "Lega la mucca!" non puo' essere falsa nello stesso modo in cui puo' esserlo "la mucca e' legata".
In generale, l'epistemologia indiana contempla la possibilità di un proprio uso mondano (laukika) o ultramondano, trascendente (alaukika, si pensi al neotestamentario invisibilia), a seconda che a essere oggetto di indagine siano fatti esperibili o meno.
martedì 20 febbraio 2007
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