Non ostante l'essenzialità della definizione della Parola come strumento epistemico nel NS (v. cap. 1.3), capiamo subito che il Nyāya intende la Parola uno strumento epistemico solo in quanto pronunciata da un autore esperto e affidabile. Inoltre, il secondo sūtra mostra che essa può fornirci informazioni sia nell'ambito epistemico laukika (ossia quello degli oggetti direttamente o indirettamente esperibili), sia in ambito alaukika. Non si fa riferimento esplicito all'ambito deontico, giacché una sua chiara identificazione avviene solo nella Mīmāṃsā. Anzi, in generale nei primi commenti al NS l'identificazione di "non esperibile" con "trascendente" non è esplicita, anche se mi pare possa essere desunta con relativa sicurezza. Il primo commentatore del NS, Vātsyāyana, sostiene infatti che la suddivisione fra oggetti esperibili e no serva a render conto della Parola in ambito ordinario o pronunciata dai Ṛṣi. Questi sono dei mitici saggi cui la tradizione indiana attribuisce poteri straordinari, ottenuti attraverso profonda ascesi. Secondo il Nyāya, essi sono in grado di percepire direttamente oggetti che non siano in contatto con i sensi, attraverso una sorta di intuizione intellettuale (detta yogipratyakṣa). In questo modo, gli oggetti non esperibili di cui parla NS 1.1.8 possono coprire anche il campo di oggetti passati e futuri, che i ṛṣi sono in grado di cogliere direttamente. Un successivo commentatore, Uddyotakara, distingue in proposito fra oggetti raggiungibili tramite percezione diretta e oggetti raggiungibili tramite inferenza. Mentre infatti i ṛṣi sono in grado di cogliere tramite percezione diretta entrambi i tipi di oggetti, le persone normali sono costrette a conoscere i secondi solo tramite inferenza. Poiché però l'inferenza parte sempre da premesse fornite o da un'altra inferenza o da percezione diretta, alla radice delle inferenze tramite le quali le persone ordinarie giungono a conoscere oggetti non esperibili, ci dev'essere comunque una premessa stabilita dalla percezione speciale dei ṛṣi.
Nella sua polemica con il Vaiśeṣika, Vātsyāyana cita alcuni esempi di oggetti non esperibili:
"Il Paradiso, le ninfe celesti, [regioni mitiche] come i Kuru Settentrionali, le Sette Isole, il Grande Oceano"
Si tratta, almeno nel caso del Paradiso, di emblemi corrispondenti a stati mentali derivati dal merito accumulato, e che quindi alludono all'ambito trascendente del dharma. Similmente, rientra nell'ambito di āptavacana anche il Veda, che quindi trae la propria autorità dall'essere stato pronunciato da un autore affidabile.
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