sabato 24 marzo 2007

7.2 La Parola come inferenza nel Vaisesika

Il testo radice del Vaiśeṣika, il Vaiśeṣikasūtra (VS), presenta gravi problemi testuali e appare in molti punti assai oscuro. Tanto più perché il primo commento al testo radice (che in tutte le altre scuole è una glossa puntuale al testo) non è in questo caso un commento ai singoli aforismi, bensì ai temi in questi trattati. Gli aforismi non vi sono perciò analizzati parola per parola e quindi il commento non risolve molti dei punti oscuri. In generale, poi, la posizione del VS circa la Parola come strumento conoscitivo è frastagliata e composita, come l'intero VS.
Nel nono libro del VS si analizzano i mezzi per acquisire conoscenza. Discutendo della percezione, vi si ammette l'intuizione intellettuale (yogipratyakṣa). Successivamente, l'aforisma 9.2.3 spiega che la Parola come strumento conoscitivo è una sorta di inferenza. Non vi è, spiegano i commenti, alcun tipo di conoscenza specificamente legata alla Parola. Questa è solo un caso di inferenza per cui udendo "c'è una mucca" si inferisce l'oggetto mucca dotato della qualità "esistenza". Si noti che i commenti (sto seguendo in particolare la Vivṛti di Jayanārāyaṇa o Jāyarāma, del XIX secolo) specificano che l'inferenza avviene sulla base di frasi e non di singoli vocaboli e che ne risulta la conoscenza di un oggetto e di alcune qualità specifiche. L'argomento in favore del ricondurre la Parola come strumento epistemico all'inferenza sta nel fatto che entrambe si basano su una relazione (quella fra vocabolo e significato in un caso, quella fra probans e probandum nell'altro). Ma al di là di tale somiglianza, com'è possibile formalizzare tale tipo di inferenza? In prima istanza, sembrerebbe di poter dire che i vocaboli sono il probans (come il fumo dell'esempio) che permette di pervenire al probandum (il fuoco dell'esempio). Ma allora quale sarebbe il locus (la montagna)? Vācaspati (un poligrafo del X secolo?) suggerisce che i vocaboli sono il probans, i significati dei singoli vocaboli il locus e il significato della frase come insieme il probandum. Ma il locus (come la montagna) dovrebbe essere già certo prima del processo inferenziale ed è difficile in tal senso che i significati dei singoli vocaboli possano ricoprire tale funzione. Si potrebbe (ma questa è solo una mia ipotesi( immaginare che il probans sia la frase, per esempio "la mucca è rossa", il probandum la qualità di essere rossa e il locus la sostanza mucca in cui tale qualità inerisce. Questo è possibile perché secondo Nyāya e Vaiśeṣika il significato di una frase è una sostanza unita a delle qualificazioni. In quest'ottica, "la mucca cammina" è reinterpretato come "mucca+qualità di essere camminante", mentre "porta la mucca!" equivale a "tu+qualità di dover essere portante la mucca". Ovviamente, tale analisi sarebbe più difficilmente applicabile nel caso di teorie del linguaggio diverse (la Prābhākara Mīmāṃsā sostiene per esempio che il significato della frase è ciò che deve essere realizzato, e in genere l'azione ha un ruolo centrale per la Mīmāṃsā).
L'analisi ora riportata rientra nel caso a) descritto nel cap. 7, ossia la Parola come strumento conoscitivo viene ricondotta a un'inferenza in cui il probans è la frase. Tale procedimento viene però abbandonato anche in seno al Vaiśeṣika per via delle tante obiezioni cui non riesce a rispondere. Alcuni autori Vaiśeṣika successivi, perciò, utilizzano il metodo escogitato dalla scuola epistemologica buddhista per ridurre la Parola come strumento conoscitivo all'inferenza. Altri, invece, aderiscono alla posizione naiyāyika.

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