mercoledì 14 marzo 2007

7. La Parola come inferenza

Vaiśeṣika e scuola epistemologica buddhista, pur ammettendo che è tramite la Parola che acquisiamo molte conoscenze su temi inattingibili dalla percezione diretta, la considerano un caso di inferenza. A sua volta, la Prābhākara Mīmāṃsā, coerentemente con l'assunto mīmāṃsaka per cui uno strumento conoscitivo, per essere tale, deve comunicare qualcosa di nuovo, considera la Parola (vedica) uno strumento conoscitivo autonomo solo in ambito deontico, mentre riconduce ogni comunicazione umana a un caso di inferenza.
La Parola come strumento conoscitivo può essere ricondotta all'inferenza in due modi.
a) Un parlante dice "la mucca è rossa". L'ascoltatore inferisce da tali parole che l'oggetto mucca è connesso con il colore rosso come sua qualità.
Questa descrizione (presente solo nel VS e nel suo primo commento) incontra però le critiche naiyāyika e mīmāṃsaka descritte nel cap. 3.5 ("Il Nyāya sulla differenza fra inferenza e Parola come strumento conoscitivo"), circa la non invariabile concomitanza fra vocabolo e significato; l'immediatezza della conoscenza derivata da Parola come strumento conoscitivo (in contrasto con la mediatezza della conoscenza inferenziale); e la presenza di un terzo elemento, ossia l'affidabilità del parlante, nel caso della Parola come strumento conoscitivo.
b) Un parlante dice "la mucca è rossa". L'ascoltatore inferisce che la mucca è rossa perché il parlante è affidabile, attraverso il passaggio intermedio della cognizione corrisponente che viene inferita esistere nella mente del parlante.
Il contenuto conoscitivo di una comunicazione avvenuta tramite Parola sarebbe cioè in realtà inferito per il tramite dell'affidabilità del parlante/autore. Ossia, io conosco che x perché così ritiene Y, il quale è una fonte affidabile. Questa analisi ha il vantaggio di render conto dei casi di comprensione senza accettazione. Sembra infatti possibile comprendere una frase pur senza prestar fede al suo contenuto, il che mostrerebbe che la conoscenza che deriva da Parola come strumento conoscitivo è di tipo indiretto, inferenziale. In altre parole, nell'udire "la mucca è rossa" un ascoltatore dapprima inferisce che il parlante ritiene che la mucca sia rossa, indi valuta l'affidabilità del parlante e, se questi è in effetti esperto e affidabile, inferisce da ciò che quanto ha detto deve essere valido e, finalmente, conosce che "la mucca è rossa". Tale processo è solitamente tanto rapido da passare inosservato, ma diventa evidente nei casi in cui a dire che "la mucca è rossa" sia un parlate inaffidabile, per esempio un daltonico. In tale caso l'ascoltatore coglie il significato, ma non conosce che "la mucca è rossa" perché non può inferire tale conoscenza valida sulla base dell'affidabilità del parlante.
Come si vede, questa descrizione si fonda sulla distinzione fra uno stato preliminare di comprensione e uno successivo di conoscenza. Sostengono invece i sostenitori della Parola come strumento conoscitivo autonomo che tale distinzione non ha senso. In altre parole, chi sostiene che la Parola sia un distinto strumento epistemico afferma che l'udire che x sia tutt'uno con il conoscere che x e che quello della conoscenza tramite Parola non sia un processo a due fasi (comprensione e poi conoscenza). La normalità è che all'udire "la mucca è rossa" noi conosciamo che la mucca è rossa, mentre il caso in cui si abbia comprensione senza accettazione è un caso particolare. Solo in tale caso noi ritiriamo la fiducia concessa da subito alla frase "la mucca è rossa" perché notiamo che il parlante è daltonico. Un simile ritiro del consenso non crea problemi alla Mīmāṃsā, per cui è sempre possibile falsificare la conoscenza in un momento successivo. Va però sottolineato che la Mīmāṃsā può solo immaginare di considerare una certa proposizione (poniamo "la mucca è rossa") vera e poi in seguito falsa qualora si scopra che il parlante è daltonico. In accordo alla Mīmāṃsā non è invece spiegabile (ammesso che esista) lo stato di comprensione di una frase mantenendo sospeso il giudizio. Tale attitudine mentale può essere spiegata solo intendendo la Parola come strumento conoscitivo un caso di inferenza per cui qualora il parlante non sia stato accertato come affidabile il giudizio rimane sospeso, non avviene il processo inferenziale e non si acquisisce nuova conoscenza.
Per quanto attiene in generale alla valutazione di queste due inferenze, in entrambi i casi il sillogismo è ulteriormente complicato dalla presenza di un quarto elemento (oltre a probans, probandum e locus), ossia l'affidabilità del parlante. Ciò rende poco plausibile il tentativo di formalizzare la Parola come strumento conoscitivo all'interno della struttura del sillogismo indiano.

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