Come abbiamo già visto nel cap. 3, sostenere che la Parola è uno strumento conoscitivo solo in quanto pronunciata da un esperto, significa inevitabilmente entrare in conflitto con i sostenitori della Parola come strumento conoscitivo indipendente da un autore, ossia i mīmāṃsaka. Inoltre, per quanto riguarda la storia della cultura indiana, il conflitto fra le due scuole è particolarmente acceso giacché i mīmāṃsaka accusano i naiyāyika di riconoscere al Veda solo un'autorità secondaria, derivata da quella del suo autore, Dio. Replicano i naiyāyika (soprattutto con Jayanta Bhaṭṭa) di essere al contrario gli unici difensori del Veda, dal momento che solo loro si occupano di trovare argomenti positivi in suo favore. L'accusa è in effetti fondata, poiché i mīmāṃsaka non cercano argomenti in favore del Veda. Sostengono infatti che ogni argomento portato in favore dell'autorità del Veda, in quanto suo puntello esterno, finirebbe paradossalmente per indebolirla (su questo tornerò più avanti parlando della Mīmāṃsā).
Per quanto riguarda l'idea che la Parola Vedica sia senza autore, l'opinione naiyāyika è molto simile a quella probabilmente comune in Occidente, ossia che ogni composizone deve avere un autore e che il Veda non può far eccezione. L'argomento è in qualche modo simile a quello noto in Occidente come argomento cosmologico, o "dell'orologiaio". Secondo tale argomento, il mondo è un prodotto complesso, come un orologio. Se trovassimo un orologio nel deserto, non ostante non vi sia traccia di un orologiaio per miglia, ciò non ostante non dubiteremmo che un orologiaio debba esserci e lo stesso deve valere per il mondo.
Non faccia meraviglia che sto parlando di argomenti destinati a provare l'esistenza di Dio. Il Veda in India può in molti sensi fungere da equivalente funzionale di Dio, nel senso che svolge una funzione paragonabile in quanto a priori inevitabile, fondamento dell'etica e del trascendente, indubitabile per tutti. Dunque, nel caso indiano, i naiyāyika dicono che il testo vedico deve necessariamente essere opera di un autore. Si ricordi che per i naiyāyika il linguaggio stesso è convenzionale, quindi tanto più un testo linguistico deve aver avuto un'origine (posteriore alla fissazione della convenzione linguistica). I Mīmāṃsaka sostengono al contrario che il linguaggio sia senza inizio e rifiutano perciò l'appello alla convenzionalità del linguaggio per dimostrare che ci sia bisogno di un'origine (e quindi di un autore) per il Veda. I naiyāyika aggiustano allora il tiro sostenendo che, se anche il linguaggio fosse senza inizio, comunque la composizione delle frasi vediche non può che essere dovuta a un autore, come la composizione della celebre epica del Mahābhārata (venerata in India poco meno del Veda). Il mīmāṃsaka Kumārila Bhaṭṭa risponde che nel caso del Mahābhārata l'autore è noto, mentre nel caso del Veda tutto quello che abbiamo è la catena maestro-discepolo attraverso la quale esso viene appreso. Poiché dunque il Veda viene appreso necessariamente da un maestro, esso è senza inizio, come il linguaggio (che pure viene necessariamente appreso da qualcun altro).
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