L'approccio della Mīmāṃsā a questo come a ogni altro tema è decisamente astorico, nel senso che nel fuoco dell'interesse mīmāṃsaka è il Veda e la Parola come strumento conoscitivo in genere così come appare nella nostra esperienza, senza alcun interesse di tipo eziologico. Ogni polemica su questa mancanza di interesse è lecita, ma una volta messo in chiaro questo punto sono poco sensate domande di tipo storico rivolte a singoli punti della dottrina mīmāṃsaka. La Mīmāṃsā non avrà risposte soddisfacenti da offrire ad alcuna di queste domande, semplicemente perché le paiono secondarie e futili.
Dopo questa breve premessa, veniamo ai capisaldi della dottrina mīmāṃsaka. Abbiamo visto come nel Nyāya il dominio del trascendente (alaukika) possa essere raggiunto sia dalla Parola come strumento conoscitivo sia dall'intuizione intellettuale. Questo è lecito all'interno di quella scuola poiché questa postula che vari strumenti conoscitivi possano sommarsi nel conoscere uno stesso oggetto. Al contrario, la Mīmāṃsā sostiene che gli strumenti conoscitivi siano applicati in modo mutualmente esclusivo. Ossia, un oggetto percepibile può essere colto solo da percezione diretta, un oggetto non percepibile perché assente, ma non trascendente, può essere colto solo per via inferenziale, mentre un oggetto invisibile perché trascendente può essere colto solo tramite la Parola come strumento conoscitivo. Nella definizione di strumento conoscitivo, infatti, è incluso il fatto che deve comunicare conoscenza nuova. Se invece, come sostiene il Nyāya, vari strumenti conoscitivi potessero conoscere lo stesso oggetto, tutti tranne il primo finirebbero per ripetere una stessa informazione.
La Parola come strumento conoscitivo è sempre accettata in quanto śāstra, ossia Parola indipendente dal suo autore, il che equivale al Veda. Nessun'altra scrittura è considerata sullo stesso piano e l'apologia del Veda nella Mīmāṃsā è principalmente basata sulla sua segregazione da ogni altro tipo di strumento conoscitivo. A partire dal Mīmāṃsāsūtra e dal suo commento, il Bhāṣya composto da Śabara Svāmin, appare chiaramente che la Parola Vedica (vedremo più avanti come la situazione sia affatto diversa per la Parola come strumento conoscitivo nella comunicazione ordinaria) non compete sullo stesso campo degli altri strumenti conoscitivi. Essa è, al contrario di inferenza e altri processi deduttivi, una fonte autonoma di conoscenza, in quanto tale paragonabile alla percezione diretta. La Mīmāṃsā rifiuta ogni tipo di intuizione intellettuale, considerandola un'assunzione illegittima e non giustificata sulla base della nostra esperienza degli uomini, per cui il Veda regna incontrastato come fonte del trascendente, il dharma. Poiché entrambe le scuole della Mīmāṃsā concordano nell'interpretare il Veda come strumento conoscitivo solo nella sua componente prescrittiva, mentre i passaggi narrativi acquistano significato solo in quanto ancilllari rispetto alle prescrizioni, la Mīmāṃsā si configura come un'ortoprassi, mentre l'assenza di un'ortodossia fa sì che essa possa avere fra i suoi aderenti teisti e atei.
Ogni domanda riguardante l'origine del Veda, in un'ottica mīmāṃsaka non ha significato. Il Veda esiste senza inizio, come il mondo, il linguaggio, l'uomo, il tempo. Immaginare un mondo precedente il Veda è impossibile perché nella definizione di "mondo" è già incluso il Veda in quanto fonte unica di informazioni riguardanti il dharma.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento